Bonnie

Bonnie parlava sempre molto prima di mettersi a dormire. Spegneva la luce (lo decideva sempre lei quale fosse il momento di restare al buio a prescindere dal fatto che io magari stessi leggendo o non mi fossi ancora coricato), chiudeva gli occhi, si raggomitolava nelle lenzuola e iniziava a chiacchierare. Non sempre ciò che diceva aveva senso. Anzi, la maggior parte delle volte non si trattava nemmeno di discorsi veri e propri quanto piuttosto di frasi sconnesse legate tra loro da lunghi sospiri. C'era però un ordine nel suo modo di esporre. Inizialmente partiva con un tono basso, pacificatore, tranquillizzante. Le parole erano sempre un po' strascicate ma si capivano abbastanza bene e mi permettevano anche di inserirmi nel suo filo di pensieri. Poi piano piano le parole diventavano sempre più strasciate, le pause tra l'una e l'altra sempre più lunghe, sino a un apparente silenzio. Infine, quando finalmente chiudevo gli occhi anche io e le sussurravo la buonanotte, riprendeva alzando la voce e concludendo sempre con una qualche domanda di cui non capivo il significato. Ma arrivati a questo punto restava poco da fare. Lei in realtà dormiva e non avrei saputo mai più di cosa stesse parlando. Rimasi quindi sconvolto quando una mattina di ottobre Bonnie seduta come sempre, con le ginocchia al petto davanti al tavolo della cucina, in attesa che i biscotti si sciogliessero del tutto nella sua mega tazza di latte e caffé, con un sorriso beffardo mi chiese:
-Perché non mi hai risposto stanotte?
Rimasi a fissarla in silenzio con la tazzina del caffé in mano ormai vuota.
-A che?
-Alla domanda che ti ho fatto - rispose piuttosto contrica
-E cosa mi avresti chiesto di grazia stanotte? - replicai con un sorriso ironico
-Fa niente, se non vuoi non è importante.
La vidi poggiare i piedi nudi a terra e avvicinarsi alla tazza, portarla con entrambe le mani alla bocca e trnagugiare, sbavando, quella specie di fanghiglia marrone.
-Sul serio - aggiunsi - che mi hai chiesto stanotte?
Finì di bere, poggiò la tazza sul tavolo. Poi come sempre si stiracchio le braccia dietro la schiena, guardò l'orologio e corse in bagno a prepararsi.
Restai col dubbio ma pensai che in fondo non mi interessava più di tanto. Mentre scendevo le scale del nostro appartamento per poi correre verso il tram che mi avrebbe portato al lavoro però iniziai a pensarci. Rimuginavo su quale mai potesse essere la domanda che mi era stata fatta. Salli sul trame e mi feci spazio tra una selva di ascelle sudate, mi poggiai al finestrino, in piedi come ogni mattina e tentando di turarmi il naso per non rimanere asfissiato, cercai inutilmente di ricordarmi cosa mi aveva detto. Inutile: stralci di conversazioni avvenute nei mesi precedenti si accavallavano nella mia testa senza darmi scampo. Il tarlo però resistette nella mia testa rosicchiando quel poco di cervello che le sigarette non avevano ancora soffocato. Era come se mi sfuggisse qualcosa di importante. Come se da quella domanda dipendesse il mio immediato futuro. Salii le scale di casa a due a due e quando aprii la porta devo ammettere che non rimasi stupito dallo spettacolo che mi si presentò davanti agli occhi. L'appartamente era vuoto e Bonnie era sparita.

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