Di internet e di favole

Conobbi Clara online su un sito di incontri come se ne trovano tanti.
La mia storia precedente si era conclusa in malo modo e mi trovavo in una di quelle fasi della vita in cui il lavoro sembra non bastare più per ingenerare quel non pensiero ristoratore di cui abbisognavo. Quindi, digitai su google le paroline magiche "sito di incontri" e mi iscrissi a tutti.
Per chi non lo sapesse, questo tipo di siti vivono sulla creduloneria degli avventori, sulle loro speranze e perché no, sulla loro vanità.
Mi ritrovai perfettamente inserito in una comunità di finti adoni che caricavano immagini improponibili e imprevedibili di sé, alcune delle quali probabilmente risalenti alla loro infanzia. Tutto era perfetto e ricoperto da una garza rigeneratrice: i volti senza rughe, i capelli fluenti, la muscolatura definita. Il sesso femminile non era da meno. Franca55 aveva l'aspetto di una 15enne e Miriam60 sembrava avere appena finito le elementari. Mara43 ci batteva tutti: una foto in bianco e nero di Sailor Moon con la bacchetta in mano a presagire teneri accoppiamenti alla luce della luna.
Ma la mia preferita era Adona18, con quella mandibola squadrata e la rasatura fresca che le ombreggiava le gote.
Prima di entrare in contatto con una di queste dee, comunque, era necessario seguire un iter ben preciso.
1) Caricare una immagine, preferibilmente reale e possibilmente recente. Ne scelsi una di quando avevo 5 anni ed ero vestito da Pinocchio. Ero giunto a questa decisione dopo giorni e giorni di riflessione. L'aspetto fanciullesco avrebbe stimolato il lato materno delle mie possibili future conquiste e avrebbe messo in chiaro da subito fattori determinanti della mia personalità: la voglia di giocare, l'amore per i bambini, la mia indole scherzosa. Inoltre, ma non ultimo, Pinocchio rappresentava le favole e chi non sogna una vita da favola?
E poi quella foto parlava di me in una maniera intima, raccontando qualcosa della mia infanzia che neanche i miei amici più stretti conoscevano. I miei genitori, vedete, pur godendo di una stabilità economica invidiabile e pur non facendomi mancare nulla, mi negavano spesso quell'attenzione che invece un bambino richiede. Lavorando entrambi, spesso oltre l'orario di lavoro, non avevano molto tempo per giocare con me o per rendersi conto di come i mesi passassero. Le stagioni si susseguivano a un ritmo rapidissimo e con gli anni io modificavo il mio corpo e i miei bisogni. Peccato che me ne rendessi conto solo io. Fui vestito da Pinocchio da quando avevo 5 anni fino ai 10. All'asilo prima e alle scuole elemntari dopo, vedevo sui corpi dei miei compagni il mutare delle mode televisive. Vestivano da Zorro, Jeeg robot, Dartagnan, Dylan Dog. Io no. Io continuavo a essere Pinocchio. E a nulla serviva far notare ai miei genitori che i pantaloncini verdi che una volta mi arrivavano alle caviglie ora finivano sopra alle ginocchia. Certo, rispetto ai miei compagni io conoscevo il significato della parola "pinocchietti" con anni di anticipo, ma questo non faceva di me un prescelto quanto semmai un reietto. Ero il sopravvissuto di un'epoca che neanche avevo vissuto, in cui al posto degli eroi che lottano per combattere i soprusi e difendere gli innocenti, vi erano i cosiddetti archetipi positivi. Incarnavo insomma nelle mie fattezze una riscossa lenta e strisciante combattuta contro le diseguaglianze della vita. Troppo lenta. Troppo strisciante. Ricordo che mi bullizzavo da solo per la vergogna. Nascondevo il cappellino a punta e forte dei pantaloncini verdi e della pseudo calzamaglia mi fingevo Peter Pan. Saltavo da un banco all'altro spargendo polvere di gesso per simulare voli giocosi che però restavano pindarici. Perché c'era sempre il bambino meno sensibile degli altri che mi rimetteva in mano il cappello nascosto meticolosamente tra i libri sotto il banco e mi diceva duro: "Tu no Peter Pan, tu Pinocchio".  

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